26 set 2011

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In un teatrino di città, una domenica pomeriggio, si va in scena. Si apre il sipario e davanti a lui si estende una platea piena di piccoli spettatori che applaudono, già ridono, e aspettano ansiosi di vedere e sentire raccontare la loro storia. La stessa storia che in maniera diversa appartiene a ciascuno, perché in fondo il teatro è anche questo: vedere narrato ciò che esiste già nella nostra mente, nei nostri occhi e nel nostro cuore. Bisogna solo avere la capacità di recuperare questo vissuto, così radicato e così condiviso. Che sa essere spesso anche così divertito.
Il giovane attore trasformista narra le avventure di personaggi immaginari, canta, suona, conduce a una dimensione nuova attraverso il suo corpo. Il corpo è la porta di accesso che, attraverso il ‘gioco’, permette un’immersione nel mondo della fantasia.
Fantasia che l’attore si porta addosso, cucita sulla pelle, che calza a pennello come una maglietta colorata e rumorosa, come rumorosi sono i ricordi.
Lo spettacolo è concluso, il bagaglio dei ricordi si riempie sempre di più.

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